Tutto quello che so della vita, l’ho imparato dal calcio

Calcio

di Marco Scarfiglieri / L’estate, una stagione che tutti aspettano: voglia di sole, brama di abbronzature, sete di mare, il desiderio di un ricco drink su una bella spiaggia, i tramonti, le notti stellate. Sì va bene, l’estate, una stagione che tutti amano, tutti, ma non proprio tutti.

Poi ci siamo noi, quelli che dalla fine di maggio al terzo fine settimana di agosto (se tutto va bene) vivono di nostalgici ricordi, di weekend malinconici. Di attese e speranze per una nuova stagione che si spera sia diversa, augurandosi sia quella buona. Giorni vissuti tra arrivi e partenze, tra volti nuovi e quelli di sempre, tra chi vorresti “abbracciare” ancora a lungo e chi preghi cambi aria quanto prima.

Chi siamo? Siamo noi, quelli che si nutrono di uno sport che viene comunemente chiamato Calcio, noi l’estate non la mandiamo proprio giù. Manco gli Europei o i Mondiali riescono a lenire questo senso di insofferenza per la stagione estiva. Il palliativo delle amichevoli non basta, noi attendiamo l’inizio della competizione vera, la Serie A, la Coppa di turno. Insomma, qualsiasi partita in cui ci si giochi realmente qualcosa. Che poi in concreto, quel qualcosa, per noi, altro non sono che brevi attimi di pura, sincera, incondizionata, felicità. Nulla entra, tanto esce (abbonamenti, biglietti, fegato, parole non pronunciabili, etc.).

E sabato ci siamo, si ricomincia: un altro anno scandito da felicità e sofferenza, da gioia e dolore, da 1 X 2, da casa e trasferta, da campionato e coppa, da Gazzetta e Corriere, da goal/no goal, da arbitro venduto e arbitro cornuto. Alla fine qualcuno festeggerà, altri piangeranno, si vince e si perde, talvolta anche pareggiando.

Il calcio credo possa vantare delle profonde note letterarie intrinseche che ne fanno un concentrato di storie dalle tinte talvolta favolistiche, altre thriller, altre ancora gialle o rosa, etc… Penso, ad esempio, alla recente favola del Leicester di Claudio Ranieri o a quella (ancora in corso) della bella Atalanta di mister Gasperini. O anche al Benevento, allo Spezia o al Crotone. Penso alla passione di tifoserie come quella napoletana o quella romana che da anni, ogni benedetto/maledetto campionato, attendono con la solita e viva passione un trionfo che manca ormai da troppi anni. E alle vicende del calcioscommesse e a Calciopoli, penso alle stragi dell’Heysel e di Hillsborough. Penso all’era Covid e agli stadi dapprima vuoti e ora, pian piano, riaperti al pubblico, etc.

Penso a quanto alcuni esponenti di questo sport siano diventati qualcosa di più che “semplici” calciatori. Basterebbe citare i nostri Baggio e Totti, i moderni Messi e Ronaldo, e gli eterni e divini Pelè e Maradona.

Ogni domenica un paragrafo, ogni settimana un capitolo, ogni stagione un volume: il calcio è un libro a campo aperto.

Albert Camus, che aveva giocato a calcio, ruolo portiere, disse:

Tutto quello che so della vita, l’ho imparato dal calcio

Per Camus il calcio non fu un hobby spensierato, ma rappresentò il fondamento della stessa esistenza.

Il calcio come la vita: prima si difende la propria porta, poi si rilancia, si parte all’attacco per insaccare quella avversaria. La vita come il calcio: i blackout, gli avversari, la fatica, le botte e i goal subiti, poi la ripresa e il vigore, l’animo si riaccende, la svolta, la giocata, i compagni, la reazione, la rimonta. Il calcio e la vita, la difesa e l’attacco. La filosofia del calcio giocato come mood da seguire in una vita che vuole smarcarsi da ansie e pessimismo.

In poche parole: non mollare un centimetro, combattere, crederci, nella vita come nel calcio, il calcio come metafora della vita, la vita come metafora del calcio. Il calcio è vita.

Buon campionato a tutti e che vinca il migliore, ma non vi dirò chi.

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