Pubblicare con una grande casa editrice. Il “salto” di Francesco Spiedo.

di Francesco Spiedo / Non ci avevo pensato più a quest’idea del salto, da qualche anno. Da quando le cose hanno preso a rotolare come una conseguenza. La domanda di Gianluca mi ha fatto saltare indietro nel tempo. Perché non si dica che i salti siano soltanto quelli che si fanno in avanti: si salta dalla paura, dalla sorpresa, si salta nei ricordi, nel passato. Non credevo, e non credo, di essere uno di quelli che ce l’ha fatta.


Per carità pubblicare con Fandango Libri, passare dalla riviste al nome in libreria non è cosa da niente. Ritrovarsi dalle antologie a un libro tutto tuo, con un editore vero, a relazionarti con lettori che non ti conoscono, che non sono parenti alla lontana, amici di amici, è un risultato. Un salto in avanti. Ma a questi salti avevo già smesso di pensarci il giorno in cui, facciamo uno qualunque dell’ottobre del 2016, ho iniziato a lavorare a quello che sarebbe diventato Stiamo abbastanza bene (Fandango Libri, 2020). Dopo essermi laureato in ingegneria mi sono trasferito a Milano per frequentare un corso di scrittura creativa. Avevo deciso che avrei provato a fare sul serio, quindi il vero salto, se di salto si vuol parlare, è da rintracciare in quei giorni. 

Ricordo di quell’ottobre non i turni al bar fino alle 4 del mattino, ma anche una chiacchierata con un amico – che per comodità chiameremo A.
A mi disse: i migliori si perdono inseguendo ossessivamente la pubblicazione, pensa a scrivere, pensa alle storie, ai personaggi e alla lingua. La sua era l’esaltazione del professionista. Non si esordisce in Serie A perché si indovinano due o tre partite – ci sono dei casi, è vero, ma non fanno statistica. Ma perché ci si allena tutti i giorni, si vive per il pallone, si sacrifica tutto per un solo scopo: giocare a calcio. Tutti gli autori che hanno fatto un po’ di gavetta potrebbero raccontare la differenza che c’è tra una piccola casa editrice e una realtà più strutturata. Il moltiplicarsi di fiere, presentazioni, di come cambia l’iter di pubblicazione del libro, ma vorrei concentrarmi su altro.

Lavoravo sul serio anche quando, sarà stato il dicembre del 2016, una rivista online decise di pubblicare il mio primo racconto – nel giro di due anni ne avrei pubblicati circa 30. Il salto è stato mentale, l’idea che non stessi soltanto raccontando una storia per il gusto di condividere un post sui social. Fare il fenomeno con le ragazze, vantarmi di essere uno scrittore e tante altre stronzate – sì, signori, ho peccato, ho molto peccato, ma che divertimento. Non era solo quello. Era scattato qualcosa di diverso: sentivo che avrei continuato a scrivere, e a leggere si capisce, indipendentemente da una possibile pubblicazione che, per dovere di cronaca, sembrava sfumare.

Sono passato tra le mani di agenti letterari, sulla scrivania di un buon numero di editori e il romanzo non faceva il salto, ma non è mai stato un problema. Come diceva il mio amico: non bisogna farsi ossessionare dalla pubblicazione, ma dalla scrittura. Quello che mi teneva sveglio la notte non era il perché non mi pubblicano ma cos’è che non funziona. E l’ho riscritto, quasi per intero, poi l’editore è arrivato e nel modo più banale: una mail, quattro chiacchiere e via. 

Mentre scrivo questo pezzo sono alle prese con la scaletta del secondo e ancora non credo di avercela fatta. Forse accadrà la stessa cosa che succede ai calciatori: si accorgono dei risultati il giorno del ritiro perché durante la carriera non pensano ad altro che a giocare.
Questo è tutto quello che mi sento di dire: ai lettori, leggete; agli scrittori, scrivete. 

Tutto il resto è un circo.

Francesco Spiedo

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